ScopriAMO il Gambia: Intervista a Marica & Faburama

Marica e Faburama sono marito e moglie e vivono a Spadafora, in provincia di Messina. Marica è pedagogista e da poco ha avviato un progetto di imprenditoria individuale che si chiama “Kanö, Sartoria Sociale”, Faburama viene dal Gambia ed è un sarto e un artista. Marica è anche un’operatrice dell’associazione Anymore Onlus per conto della quale ha curato progetti in Eritrea, Rwanda e Gambia.

Marica quando sei stata in Gambia per la prima volta?

La mia primissima volta in Gambia è stata nel 2016 – per conto di Anymore Onlus – in quanto dovevamo dare inizio ad un progetto agricolo. Poi ci sono tornata nel 2019 sia per occuparmi del progetto agricolo sia per conoscere la famiglia di Faburama.

Quali difficoltà hai trovato?

Difficoltà nessuna, in genere quando vado in Africa sento sempre che sia casa mia, non trovo difficoltà, ci vuole solo adattamento.

Quale consiglio daresti a una persona che va in Gambia per la prima volta?

Io parlo del Gambia come se parlassi di qualsiasi altro paese al mondo che non sia il proprio: bisogna rimanere sempre al proprio posto e non esprimere parere politici. Non per le eventuali ripercussioni ma in quanto è un problema di giudizio poiché, non conoscendo a fondo ciò di cui si va a discutere, è meglio rimanere sempre un passo indietro. È un consiglio che io do ai viaggiatori in generale.

Faburama quante lingue si parlano in Gambia?

In Gambia si parlano sette lingue: Mandinka, Fula, Jola, Serahule, Wolof, Mansuanka e inglese che è la lingua ufficiale.

Quante religioni ci sono in Gambia?

In Gambia ci sono cristiani e musulmani. Ma siamo tutti uguali, non c’è il diverso. Quando c’è qualche festa si festeggia tutti insieme.

Faburama cosa consigli a chi vuole visitare il Gambia?

Non parlare di politica, la cultura non è un problema, l’importante è trattare bene le persone. Stare attenti, capire come comportarsi con le persone e i posti che è meglio evitare. Non ci sono posti pericolosi in sé, ma è sempre meglio chiedere consigli su dove andare a mangiare, a dormire, etc. I luoghi sono fatti dalle persone, nelle grandi città c’è di tutto, ci sono cose belle e cose brutte, quindi è sempre meglio stare attenti. Questo vale in tutto il mondo: in Gambia, come a Roma, come a Milano.

Faburama come è stato il tuo primo impatto con l’Italia?

Quando ero in Gambia seguivo molto il calcio italiano, ero juventino. Arrivato in Italia ho cambiato squadra, ora sono interista. In Gambia quando giocava l’Italia io mi mettevo sempre in prima fila per guardare il mio giocatore preferito: Cannavaro. Quando sono arrivato in Italia è stato arrivare nel paese che prima sognavo. Ora è tanto tempo che sono qui, ora sono siciliano.

Marica qual è stato il tuo primo impatto con l’Africa?

La mia prima volta in Africa è stata nel lontano 2005 in Eritrea. I primi due giorni ho pianto come una disperata, un pianto emotivo, carico di emozioni. Sono arrivata molto carica emotivamente in quanto era una cosa che desideravo con tutta me stessa, ho fatto un mese intenso di preparativi ed ero carica di aspettative. Quindi sono arrivata carica di emozioni che in qualche modo dovevo scaricare. Ho pianto tanto perché fino a quel momento – all’epoca avevo 23 anni – mi ero tanto informata, ma ovviamente non c’erano i mezzi di cui disponiamo oggi, mi ero guardata qualche video ma non pensavo che fosse così eclatante l’impatto con l’Africa. Invece è stato forte, è stato immenso, è stato bello. Dopo aver scaricato le emozioni con il pianto mi sono ricaricata ed è iniziata l’escalation.

Marica se potessi creare un paese immaginario, cosa porteresti dall’Italia e cosa dal Gambia?

Il 99,9% degli “ingredienti” li prenderei dal Gambia o comunque dall’Africa in generale. La formazione africana mi ha accompagnata da sempre, l’amore per l’Africa mi è stato trasmesso dalla mia famiglia. Lo stile di vita sano, genuino, umile africano è lo stesso che si respirava a casa mia, casa che è sempre stata aperta a tutti. Ho vissuto sin da piccola la mescolanza di etnie e quindi sono cresciuta in mondo bello, aperto, privo di stereotipi, di giudizi e di pregiudizi.

L’Africa mi ha insegnato una cosa: come si affrontano i problemi. Se per noi un problema vale 100 in Africa lo stesso problema vale -100. L’Africa ti insegna a prendere distanza dalle cose, noi avendo tutto e subito vediamo i problemi in una certa dimensione, in Africa è diverso. Ho imparato a dare alla parola problema accezioni differenti, se per noi è un problema in Africa non si chiamerà di certo così. In Italia siamo abituati a chiamare tutto problema, ma non è vero, il problema ha un’entità ben definita. In Africa un problema è un problema, le sottigliezze si chiamano diversamente. Il problema è quando non hai cibo a tavola, quando non sai come sfamare una famiglia.

C’è il luogo comune che gli africani sono sempre allegri, sempre gioiosi, ma alla fine non è vero, se tu vai a fondo ci sono cose da scovare. Il Gambia viene chiamata “La costa del sorriso”, perché è vero che sono tutti sorridenti, che si respirano tante emozioni positive, ma siamo tutti umani, i momenti no ce li abbiamo tutti. Poi se vogliamo vivere di questi stereotipi che in Africa sono sempre contenti e fare felici tutti così, ok. Ma siamo tutti umani e tutti portiamo un dolore nel cuore. Il dolore è dolore per tutti e la gioia è gioia per tutti. Quello che cambia è il modo di affrontarlo, ma le emozioni sono emozioni per tutti.

Faburama che idea avevi dell’Italia prima di arrivare?

Pensavo che l’Italia fosse un paese fatto di brave persone, non pensavo – come spesso si crede – che qui avrei trovato soldi e ricchezza.

Marica ci racconta qualcosa di strano del Gambia?

I mezzi di trasporto che portano di tutto in modi diversi, ma non è una cosa strana, è una cosa ammirevole. Una cosa che io ammiro dell’Africa in generale è la creatività che noi non abbiamo più.

Riuscireste a descrivere il Gambia con un’immagine, un odore e un suono?

  1. L’immagine e il suono dell’oceano. Io vivo in un paese di mare – che è il mediterraneo – ma andando nell’oceano sono rimasta spiazzata dalla sua immensità e dal forte tonfo delle onde che si infrangono sulla spiaggia. L’oceano è l’immensità. L’odore lo lego al pesce, alla salsedine, che fa scaturire l’assonanza con il mio mondo, entrambi paesi di mare e di pesce.
  2. [Faburama fa un suono soffiando tra le mani] Questo suono non lo sanno fare tutti, ma si impara a farlo. È un suono che si usa in programma televisivo “Hontine”, lo usano i bambini per chiamare il ballerino in scena. Da lì poi questo suono viene usato anche per richiamare gli amici fuori di casa.

L’immagine più bella è quella delle persone tutte insieme, ogni passo che fai incontri qualcuno e ti fermi a parlare. L’odore che mi manca è quello di quando mia mamma cucinava il chiû.

Un ricordo del Gambia?

  1. Io ho sempre vissuto l’Africa da cooperante, l’ultima volta invece sono stata a casa di Faburama. L’ultimo ricordo che mi porto appresso è quello della sua famiglia e del modo in cui mi hanno accolta. Ora mi sento di poter dire di aver vissuto l’africa a 360 gradi: da visitatrice e poi – grazie a Faburama – da membro di una famiglia. Mi porto il ricordo della mamma e del suo mondo che ho fatto mio. Mi emoziona questa cosa, mi hanno accolto veramente come una figlia, non mi ero legata forse mai a delle persone così tanto nella vita. La mia vita oggi non la vivo solo per una ma per due persone.
  2. Quando sono tornato con Marica e mia mamma mi ha detto “Tienila bene, è una persona dal cuore buono”.

Dove vi piacerebbe vivere?

  1. A Spadafora, accanto alla famiglia.
  2. Io vorrei vivere sei mesi qua e sei mesi in Africa. 

Intervista a cura di Veronica Giordani

 

 

 

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